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The Future of Events: Luca Daffra
Autore: redazione Progetto Energia Efficiente

Con il DL Riaperture approvato dal Consiglio dei Ministri, il settore degli spettacoli, delle manifestazioni sportive e delle fiere si prepara alla riapertura.

Cinema, teatri e sale concerto possono già ospitare un numero di partecipanti che non può superare il 50% della capienza massima autorizzata (e comunque non può andare oltre i 500 spettatori al chiuso e i 1000 all’aperto), mentre per le attività sportive e per fiere e congressi bisognerà attendere solo qualche altro giorno. Entro il 15 giugno, però, quello che è stato indubbiamente il settore più colpito dalla pandemia potrà riaprire ufficialmente le porte al pubblico.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Luca Daffra, senior partner dello Studio Legale Ichino Brugnatelli e Associati, tra gli ospiti speciali di The Future Of Events, il ciclo di webinar dedicato agli attori dell’event industry, giunto ormai al suo terzo e penultimo appuntamento (per iscriverti al prossimo webinar clicca qui!).

Un ruolo determinante per la riapertura del settore eventi lo avrà la campagna vaccinale – ha dichiarato Luca Daffra nel corso del suo intervento -. A dirlo sono, in maniera inconfutabile, i dati di quelle nazioni in cui le campagne vaccinali sono allo stadio più avanzato, come Israele, Inghilterra e USA”.

Daffra non ha dubbi: per ripartire bisogna mettere al primo posto la sicurezza dei partecipanti, del personale e delle maestranze impegnate nell’organizzazione degli eventi: “La nostra giurisprudenza, nell’interpretare la norma cardine del sistema infortunistico e della tutela della salute sul posto di lavoro (l’articolo 2087 del Codice Civile), individua tra i beneficiari di quella previsione non solo i lavoratori e collaboratori, ma anche i terzi che si trovano negli ambienti in cui essi lavorano. Se dalla cattiva condotta di un dipendente (come può essere il mancato utilizzo dei DPI) si ha una conseguenza per il terzo, il datore di lavoro ne deve rispondere civilmente (al di là delle possibili conseguenze di carattere penalistico, ove le violazioni siano particolarmente gravi)”.

Cosa bisogna fare, dunque, per rispettare la disciplina in materia di sicurezza? La risposta di Daffra è chiara: “Protocolli condivisi. Si è parlato dell’obbligo per i lavoratori di sottoporsi alle vaccinazioni, della possibilità per i datori di lavoro di sapere se i lavoratori si sono vaccinati, e delle conseguenze connesse a un eventuale rifiuto del vaccino. Nel nostro quadro normativo, il legislatore ha preso una posizione netta: non ha imposto l’obbligo vaccinale se non per una determinata categoria di lavoratori, ovvero quelli del settore sanitario”.

Una conferma di questo orientamento del governo la si ha anche dall’esperienza dei due protocolli approvati lo scorso 6 aprile. Il primo, che identifica le nuove misure di contenimento del rischio negli ambienti di lavoro, non include tra queste i vaccini. Il secondo, che disciplina i piani vaccinali sul posto di lavoro, non obbliga in alcun modo il datore di lavoro a farsi parte attiva nella promozione delle campagne vaccinali nei confronti dei propri dipendenti. Si desume quindi che il vaccino da parte del singolo lavoratore non sia un obbligo. Del resto l’articolo 29 bis del Decreto Liquidità prevede che l’adempimento agli obblighi di sicurezza ci sia con il mero rispetto dei protocolli condivisi. Al contrario, non si può far rientrare all’interno dei protocolli condivisi l’introduzione dei piani vaccinali in azienda”.

Naturalmente se i datori di lavoro, come auspicato dalle Parti Sociali, intendono comunque promuovere le vaccinazioni sul luogo di lavoro al fine di rendere gli ambienti di lavoro più sicuri, possono farlo: “Devono però rispettare le previsioni contenute tanto nel protocollo del 6 aprile quanto nel protocollo ad interim sottoscritto anche dall’INAIL, in cui vengono disciplinate in maniera molto dettagliata le regole che deve seguire il datore di lavoro per pianificare i piani vaccinali per i propri dipendenti. Regole che devono essere rispettate in quanto il datore di lavoro si espone, in caso di mancato rispetto delle norme dei protocollo, a dei rischi di carattere risarcitorio rispetto al proprio dipendente che dovesse, a seguito della somministrazione del vaccino, avere una reazione avversa”.

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Il datore di lavoro che intende adottare piani vaccinali ha tre opzioni:

  1. Predisporre punti straordinari di vaccinazioneanti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro per la somministrazione in favore delle lavoratrici e dei lavoratori che ne abbiano fatto volontariamente richiesta;
  2. stipulare una specifica convenzione con strutture esterne in possesso dei requisiti per la vaccinazione;
  3. avvalersi – per quei datori di lavoro che non sono tenuti alla nomina di un medico competente o, che non possono fare ricorso a strutture sanitarie private – delle strutture sanitarie dell’INAIL presenti sul territorio.

Soltanto nel caso A il datore di lavoro, oltre a sostenere i costi della somministrazione, deve:

  • assicurare il confronto con il Comitato di cui protocollo del 24 aprile 2020 e con il medico competente (art. 3);
  • attenersi al rispetto delle “Indicazioni ad interim per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro” dell’8 aprile 2021 redatte con la collaborazione dell’INAIL e della Conferenza Stato Regioni (art. 2).

Quello che si sta facendo in questo momento in Italia per garantire la riapertura delle attività si muove su due piani – conclude Daffra -, quello del rispetto dei protocolli e quello di una vaccinazione di massa al fine di raggiungere l’immunità di gregge”.

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