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Il futuro dell’aria compressa

Autore: BENIGNO MELZI D’ERIL

Il fattore trainante dell’innovazione consiste nella corsa alla riduzione dei consumi e al miglioramento dell’efficienza, oltre che in
alcuni interventi in ambito normativo che spingono in tal senso. Le macchine a vite sono giunte al capolinea, essendo state studiate e perfezionate da tutti per circa sessant’anni e non presentano, di conseguenza, molti margini di miglioramento. I motori sono stati gli apripista verso il futuro: IE4, magneti permanenti, e altro, di cui si sono dotati quasi tutti i brand. Sembra di capire che l’attenzione vada sempre più rivolta all’impianto globale più che alla macchina singola. Attraverso auditing energetici si è proceduto alla loro ristrutturazione, di cui magari faceva parte anche la sostituzione del compressore, ma funzionale a una revisione dell’impianto tutto, non per se stessa.

Aria compressa: l’evoluzione tecnologica

L’evoluzione tecnologica non sta avvenendo sul criterio di compressione, ma sui componenti della macchina e sull’efficienza dello stabilimento. Un esempio di evoluzione tecnologica è riscontrabile in alcuni compressori VS, i cosiddetti a “velocità variabile”, che, anche funzionando in continuo, consumano meno di una macchina a velocità fissa. L’inverter nelle condizioni migliori non consuma più del 2,5% della potenza installata col compressore.

Sul mercato sono presenti controllori della macchina integrati molto semplici, anche in quelle piccole da 7 kW, e una gamma ampia di centraline in grado di regolare le ore di funzionamento delle macchine, di abbassare la pressione della sala compressori, fino ad arrivare all’estremo del controllo a distanza di più macchine, alla loro gestione in funzione della richiesta d’aria e al controllo della loro manutenzione. Un’evoluzione continua è legata ai master controller, i sistemi che si “auto-apprendono” in funzione delle dinamiche di impianto, cioè sistemi che leggono costantemente e ripianificano la gestione delle macchine. Il fatto è fortemente dinamico e consente di avere una pressione media più bassa. E un bar più basso significa il 6% di risparmio energetico.

Settori di utilizzo dell’aria compressa

La vera questione riguardante la vita dei compressori non è tanto legata al loro livello tecnologico, ma se esistano dei settori in fase di sviluppo che richiedano aria compressa e altri settori che vedano, invece, la sua “morte”. Un esempio è quello dei compressori portatili, di cui si è ridotto di molto l’impiego essendo stati soppiantati gli utensili ad aria compressa. Se questo avvenisse nell’ambito industriale e produttivo, evidentemente l’aria compressa non diventerebbe più l’energia motore di un certo settore, anche in presenza di una potenziale crescita industriale e di una evoluzione tecnologica della macchina stessa. Questo potremmo dirlo in un modo più esplicito se, ad un certo punto, in fatto di automazione, dovesse diminuire quella pneumatica e aumentare quella elettronica. Un cambio di tecnologia potrebbe far diminuire di molto l’utilizzo dell’aria compressa, ovviamente nell’ambito dei grossi impianti.

Nell’automazione industriale, un esempio è costituito dal telaio tessile elettrico. Il compressore è sempre stato la macchina per eccellenza che doveva essere presente in un certo tipo di produzione tessile. Oggi, esistono linee completamente elettromeccaniche, che non vengono manovrate da un “filo” d’aria compressa e che si caratterizzano per un indice superiore di produttività. Ci sono delle lavorazioni che consentono una accelerazione del processo produttivo, magari non di altissima qualità, e che prevedono l’utilizzo di telai non più movimentati ad aria compressa. Per ora, un mondo dove l’aria compressa resiste è quello delle aree deflagranti, dove la presenza di energia elettrica rappresenterebbe un grande pericolo. Esistono – altro esempio – degli utensili a bassa tensione, dotati di batteria, che arrivano a potenze interessanti: ed ecco un altro settore che era alimentato prevalentemente con aria compressa, ma oggi non più.

Aria compressa: il fattore “manutenzione”

manutenzioneAltro aspetto importante è quello della manutenzione. Per adeguare la preparazione dei manutentori a una tecnologia sempre più “galoppante”, le Case madri si preoccupano di aggiornare i propri tecnici con training permanenti, caratterizzati da percorsi formativi e aggiornamenti con livelli anche certificati per i dipendenti e per i tecnici dei distributori. In alcuni casi, poi, si tratta di corsi completati persino dalla formazione nel “customer care”, per diventare veri e propri consulenti del cliente. A volte, si incontrano delle difficoltà con i distributori, che non sono propensi o non hanno risorse per seguire una crescita necessaria e che, di conseguenza, potrebbero essere addirittura tagliati fuori dal business.

Le aziende cercano di aiutare il distributore fidelizzato a crescere, migliorando in modo incisivo il supporto e la tempestività degli interventi di uomini e materiali. In molti casi, ai più attivi – disposti a far seguire dai propri tecnici training e disponibili a integrarsi con le aziende – viene data una sorta di “investitura” che mette sullo stesso piano gli operatori del distributore e quelli aziendali, per superare una sorta di atteggiamento “protettivo” nei confronti del parco clienti e consentire di sfruttare al massimo le innovazioni tecnologiche aziendali, oltre che parlare esattamente la “stessa lingua”.

Oggi, l’informatica la fa da padrona e il manutentore deve essere molto preparato in tale area, oltre che in quelle della meccanica e dell’elettronica. Il distributore da solo non è in grado, se non raramente, di gestire il proprio lavoro se non appositamente istruito, ma spesso considera l’intervento dell’azienda nei suoi riguardi come uno strumento di controllo della sua attività. Per altro verso, il cliente finale è favorevole a questa evoluzione: sia per la affidabilità complessiva dell’impianto che ne consegue – oggi la manutenzione non deve limitarsi a riparare guasti, ma deve garantire il funzionamento continuo della macchina -, sia per l’ottimizzazione delle risorse e la riduzione dei consumi.

I Certificati Bianchi (o Titoli di Efficienza Energetica)

Altro tema di evidente attualità è quello dei Certificati Bianchi, più propriamente TEE, ovvero Titoli di Efficienza Energetica. Un ambito in cui non tutto è molto chiaro. Alcuni player hanno puntato fortemente sui TEE, soprattutto in alcune zone d’Italia, e hanno investito tempo e denaro per la creazione di ESCo (Energy Service Company) e per la formazione dei distributori. Il cliente finale, di massima, li vede bene. C’è, poi, chi ritiene difficoltosa la gestione a monte, che richiede una organizzazione particolare. I Certificati Bianchi implicano controlli e valutazioni che non tutti sono preparati a gestire e che, spesso, non sono evidenziati al cliente finale. In realtà, si tratta di operazioni che possono essere vincenti, se gestite oculatamente e con gli strumenti idonei. I TEE sono uno strumento in passato usato spesso a sproposito. Nella basse potenze, ad esempio, è difficile trovare applicazioni che permettano di ottenerli. È più facile, invece, dove entrino in gioco potenze importanti.

Il costruttore spesso deve agire quale partner del cliente – dal primo audit della sala compressori, con la stima del possibile risparmio, alla proposta dell’intervento congruo – per capire cosa si possa ottenere in termini di TEE. Bisogna essere in grado di installare, presso il cliente, gli strumenti che servono a monitorare l’esistente e quindi verificare, una volta apportate le modifiche alla sala e all’impianto, i vantaggi ottenuti da mostrare all’ente per l’ottenimento di tali certificati. Determinante è far capire al cliente i vantaggi ottenibili con un certo tipo di intervento.

Per farla breve, manca cultura dell’aria compressa e oggi la tecnologia è molto più avanti di chi la usa. Si dialoga bene dove esiste un “vero” Energy Manager, non una presenza formale, “sulla carta”, solo perché richiesta dalle normative.

Il futuro dell’aria compressa

Tutte le aziende energivore sono preparate in funzione di quanto previsto dalle normative, hanno l’Energy Manager, sono in contatto con l’EGE, Esperto di Gestione Energetica e sono in contatto con una o più ESCo, visto che ne esistono specializzate nei vari campi. Difficilmente questo cliente è impreparato. Inoltre, in tale ambito è più facile individuare dove intervenire anche nelle altre tipologie di consumi energetici – termici, di processo, illuminotecnici e altro ancora -, che rappresentano il 90% dei consumi, di quanto non lo sia per la produzione dell’aria compressa, che è molto variabile in funzione non solo della tecnologia, ma dei ritmi di produzione e di altri fattori. Va tenuto conto, poi, che il piano di Energy Saving riguarda tutti i consumi, dove fatto 100 le opportunità di vendita nel campo delle macchine medie e medio-piccole, il 95 si riferisce alla riduzione della bolletta, che diventa così il fattore decisamente prioritario, non certo i Certificati Bianchi.

Anche nel caso di una rottura de compressore si cerca di inserire la macchina più efficiente, anche al di fuori, come detto, di un auditing e, quindi, di un programma specifico di efficientamento energetico. Un passo importante sarebbe, pertanto, quello di entrare in azienda ed educarne i dipendenti. Oggi tutto, o quasi, va verso la riduzione dei consumi energetici, ma un domani, con la fusione a freddo, l’energia potrebbe costare veramente poco. Nasceranno allora percorsi nuovi? E quali saranno le caratteristiche richieste agli impianti diverse da quelle legate al risparmio energetico? Chi vivrà – come dice il proverbio – vedrà.

Leggi anche: Aria compressa: presente, futuro, realtà e prospettive

*Con il contributo di Atas Copco, Gardner Denver, Ing. Enea Mattei, Ingersoll Rand, Kaeser

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